Llanto por la muerte Albeniz: Asturias https://www.giacorri.it/wp-content/uploads/2014/08/Asturias-Isaac-Albeniz.mp3 https://www.giacorri.it/wp-content/uploads/2014/08/Asturias-Isaac-Albeniz.ogg Federico Garcia Lorca Llanto por la muerte de Ignacio Sanchez Mejias 1 - Il cozzo e la morte Alle cinque della sera. Eran le cinque in punto della sera. Un bambino portò il lenzuolo bianco alle cinque della sera. Una sporta di calce già pronta alle cinque della sera. Il resto era morte e solo morte alle cinque della sera. Il vento portò via i cotoni alle cinque della sera. E l’ossido seminò cristallo e nichel alle cinque della sera. Già combatton la colomba e il leopardo alle cinque della sera. E una coscia con un corno desolato alle cinque della sera. Cominciarono i suoni di bordone alle cinque della sera. Le campane d’arsenico e il fumo alle cinque della sera. Negli angoli gruppi di silenzio alle cinque della sera. Solo il toro ha il cuore in alto! alle cinque della sera. Quando venne il sudore di neve alle cinque della sera, quando l’arena si coperse di iodio alle cinque della sera, a morte pose le uova nella ferita alle cinque della sera. Alle cinque della sera. Alle cinque in punto della sera. Una bara con ruote è il letto alle cinque della sera. Ossa e flauti suonano nelle sue orecchie alle cinque della sera. Il toro già mugghiava dalla fronte alle cinque della sera. La stanza s’iridava d’agonia alle cinque della sera. Da lontano già viene la cancrena alle cinque della sera. Tromba di giglio per i verdi inguini alle cinque della sera. Le ferite bruciavan come soli alle cinque della sera. E la folla rompeva le finestre alle cinque della sera. Alle cinque della sera. Ah, che terribili cinque della sera! Eran le cinque a tutti gli orologi! Eran le cinque in ombra della sera! 2 - Il sangue versato Non voglio vederlo! Di’ alla luna che venga, ch’io non voglio vedere il sangue d’Ignazio sopra l’arena. Non voglio vederlo! La luna spalancata. Cavallo di quiete nubi, e l’arena grigia del sonno con salici sullo steccato. Non voglio vederlo! Il mio ricordo si brucia. Ditelo ai gelsomini con il loro piccolo bianco! Non voglio vederlo! La vacca del vecchio mondo passava la sua triste lingua sopra un muso di sangue sparso sopra l’arena, e i tori di Guisando, quasi morte e quasi pietra, muggirono come due secoli stanchi di batter la terra. No. Non voglio vederlo! Sui gradini salì Ignazio con tutta la sua morte addosso. Cercava l’alba, ma l’alba non era. cerca il suo dritto profilo, e il sogno lo disorienta. Cercava il suo bel corpo e trovò il suo sangue aperto. Non ditemi di vederlo! Non voglio sentir lo zampillo ogni volta con meno forza: questo getto che illumina le gradinate e si rovescia sopra il velluto e il cuoio della folla assetata. Chi mi grida d’affacciarmi? Non ditemi di vederlo! Non si chiusero i suoi occhi quando vide le corna vicino, ma le madri terribili alzarono la testa. E dagli allevamenti venne un vento di voci segrete che gridavano ai tori celesti, mandriani di pallida nebbia. Non ci fu principe di Siviglia da poterglisi paragonare, né spada come la sua spada né cuore così vero. Come un fiume di leoni la sua forza meravigliosa, e come un torso di marmo la sua armoniosa prudenza. Aria di Roma andalusa gli profumava la testa dove il suo riso era un nardo di sale e d’intelligenza. Che gran torero nell’arena! Che buon montanaro sulle montagne! Così delicato con con le spighe! Così duro con gli speroni! Così tenero con la rugiada! Così abbagliante nella fiera! Così tremendo con le ultime banderillas di tenebra! Ma ormai dorme senza fine. Ormai i muschi e le erbe aprono con dita sicure il fiore del suo teschio. E già viene cantando il suo sangue: cantando per maremme e praterie, sdrucciolando sulle corna intirizzite, vacillando senz’anima nella nebbia, inciampando in mille zoccoli come una lunga, scura, triste lingua, per formare una pozza d’agonia vicino al Guadalquivir delle stelle. Oh, bianco muro di Spagna! Oh, nero toro di pena! Oh, sangue forte d’Ignazio! Oh, usignolo delle sue vene! No. Non voglio vederlo! Non v’è calice che lo contenga, non rondini che se lo bevano, non v’è brina di luce che lo ghiacci, non v’è cristallo che lo copra d’argento. No. Io non voglio vederlo! 3 - Corpo presente La pietra è una fronte dove i sogni gemono senz’aver acqua curva né cipressi ghiacciati. La pietra è una spalla per portare il tempo Con alberi di lagrime e nastri e pianeti. Ho visto piogge grigie correre verso le onde alzando le tenere braccia crivellate per non esser prese dalla pietra stesa che scioglie le loro membra senza bere il sangue. Perché la pietra coglie semenze e nuvole, scheletri d’allodole e lupi di penombre, ma non dà suoni, né cristalli, né fuoco, ma arene e arene e un’altra arena senza muri. Ormai sta sulla pietra Ignazio il ben nato. Ormai è finita. Che c’è? Contemplate la sua figura: la morte l’ha coperto di pallidi zolfi e gli ha messo una testa di scuro minotauro. Ormai è finita. La pioggia entra nella sua bocca. Il vento come pazzo il suo petto ha scavato, e l’Amore, imbevuto di lacrime di neve, si riscalda in cima agli allevamenti. Cosa dicono? Un silenzio putrido riposa. Siamo con un corpo presente che sfuma, con una forma chiara che ebbe usignoli e la vediamo riempirsi di buchi senza fondo. Chi increspa il sudario? Non è vero quel che dice! Qui nessuno canta, né piange nell’angolo, né pianta gli speroni né spaventa il serpente: qui non voglio altro che gli occhi rotondi per veder questo corpo senza possibile riposo. Voglio veder qui gli uomini di voce dura. Quelli che domano cavalli e dominano i fiumi: gli uomini cui risuona lo scheletro e cantano con una bocca piena di sole e di rocce. Qui li voglio vedere. Davanti alla pietra. Davanti a questo corpo con le redini spezzate. Voglio che mi mostrino l’uscita per questo capitano legato dalla morte. Voglio che mi insegnino un pianto come un fiume ch’abbia dolci nebbie e profonde rive per portar via il corpo di Ignazio e che si perda senza ascoltare il doppio fiato dei tori. Si perda nell’arena rotonda della luna che finge, quando è bimba dolente, bestia immobile; si perda nella notte senza canto dei pesci e nel bianco spineto del fumo congelato. Non voglio che gli copran la faccia con fazzoletti perché s’abitui alla morte che porta. Vattene, Ignazio. Non sentire il caldo bramito. Dormi, vola, riposa. Muore anche il mare! 4 - Anima assente Non ti conosce il toro né il fico, né i cavalli né le formiche di casa tua. Non ti conosce il bambino né la sera perché sei morto per sempre. Non ti conosce il dorso della pietra, né il raso nero dove ti distruggi. Non ti conosce il tuo ricordo muto perché sei morto per sempre. Verrà l’autunno con conchiglie, uva di nebbia e monti aggruppati, ma nessuno vorrà guardare i tuoi occhi perché sei morto per sempre. Perché sei morto per sempre, come tutti i morti della Terra, come tutti i morti che si scordano in un mucchio di cani spenti. Nessuno ti conosce. No. Ma io ti canto. canto per dopo il tuo profilo e la tua grazia. L’insigne maturità della tua conoscenza. Il tuo appetito di morte e il gusto della sua bocca. La tristezza che ebbe la tua coraggiosa allegria. Tarderà molto a nascere, se nasce, un andaluso così chiaro, così ricco d’avventura. Io canto la sua eleganza con parole che gemono e ricordo una brezza triste negli ulivi. G.Lorca-Llanto-A.FoaLa corrida